Al giorno d’oggi è molto facile sentirsi fighter. Basta postare qualche foto con i guanti e la faccia truce in pose aggressive e il gioco è fatto. Se si è ragazze magari attraenti è ancora più facile e i like dei maschietti non mancheranno seguiti da frasi incoraggianti ( o demoralizzanti, dipende da chi le legge.). In questo mondo di finti atleti/atlete per fortuna ogni tanto capita ancora di imbattersi in un vero guerriero, un fighter con la F maiuscola dotato di coraggio forza e tecnica, capace di sacrificare tutta la sua vita nel nome di una passione; il combattimento.
Miriam sabot è una di queste eccezioni, una donna che ha dedicato la sua vita all’arte dei re e che, lontana dall’Italia si è conquistata fama e rispetto calcando i ring più importanti della boxe thailandese.
MMA ARENA: Ciao Miriam e benvenuta sul nostro Blog. Vuoi presentarti brevemente ai nostri lettori?
Miriam Sabot: Ciao Roberto, grazie mille a te per questo invito.
Mi chiamo Miriam Sabot, ho la veneranda età di 37 anni e al momento
sono una cosiddetta nak Muay, una fighter professionista.
Vivo in Thailandia da febbraio 2014, quando mi sono trasferita per
lavorare in un call center, dopo 3 anni in cui ero bloccata con un
lavoro part time in palestra che non mi consentiva neppure
l’indipendenza.
A 33 anni vivere ancora a casa con mia madre mi faceva morire dentro
ogni giorno di più. Molte cose nella mia vita mi stavano strette e la
decisione di mollare tutto e di partire per qualsiasi altro posto al
mondo era quasi obbligata per me. L’Italia non mi aveva mai dato
nulla, nonostante gli sforzi fatti, 3 lavori in contemporanea e i
salti mortali per laurearmi senza chiedere soldi ai miei… pertanto
mi sembrò opportuno mandare a quel paese questa nazione e trasferirmi.
Mandai curriculum ovunque, specie in UK, ma mi rispose per primo il
call center in Thailandia. Ne ero felicissima: avrei potuto continuare
ad allenarmi nello sport che amo e che ho sempre amato.
Non volevo neppure combattere più, solo allenarmi era sufficiente. Ma
dopo un paio di mesi il mio trainer thai mi chiese se volessi
combattere e non ho saputo dire di no.
Da maggio 2014 non ho più smesso. Ogni cosa era volta alla Muay Thai,
mi organizzavo con gli orari duri del lavoro (visto che lavoravo con
orari europei), mi potevo allenare solo al mattino, tornavo a casa,
dormivo un oretta e poi andavo al lavoro. Dopo 9 ore in ufficio
tornavo dritta a casa, difficilmente prima di mezzanotte. Dormivo una
media di 5 ore per notte.
Mi ero messa le domeniche lavorative per avere il giorno libero in settimana
da poter spendere in palestra, facendo due sessioni al
giorno). In qualche modo sono finita a combattere nei grandi circuiti,
molte volte in diretta tv. Queen’s birthday, King’s birthday, Muay
Thai Angels.. etc.
Piano piano mi sono fatta anche i miei contatti grazie ai quali sono
stata chiamata anche in Cina. Addirittura al Kunlun fight.
Ma dopo il 2016, un anno in cui ho collezionato solo sconfitte, e
l’anno dopo in cui mi sono rotta il legamento crociato anteriore
durante un match di rientro dopo uno strappo, ho avuto l’immensa
fortuna di essere presa come atleta sponsorizzata dalla mia attuale
palestra, la Sitjemam Muay Thai gym situata a Pai, in mezzo alle montagne del Nord
della Thailandia.
Ho mollato il mio lavoro, dopo che mi ero messa da parte un po’ di
soldi. Non tanti ma abbastanza per potermi permettere di vivere il mio
sogno: fare Muay Thai come una vera professionista, dedicarmi solo a
questo sport full time. Me lo dovevo per tutti i sacrifici fatti in 12
anni in cui ho messo questa disciplina come mia priorità. Lo scopo è
semplicemente vedere fin dove posso arrivare, e chiudere in bellezza
la mia carriera.
Da gennaio 2018, quando sono arrivata qui da Emmanuele Corti, il
triestino manager e coach della palestra, ho dovuto lottare con il
ginocchio che ancora non era del tutto riabilitato e con una forte
anemia che mi rendeva debole e più di qualche volta ho dovuto
combattere con la febbre.
La svolta è iniziata al Thapae Boxing Stadium quando ho battuto un
paio di top name thailandesi. A inizio agosto ho combattuto a Bangkok
in diretta Tv nel programma Super Champ portando a casa una vittoria
contro la campionessa del sud Petbencha. Due giorni dopo mi sono
aggiudicata la vittoria contro Nong Ying, portandomi a casa la cintura
dello stadio Thapae di Chiang Mai, che, anche se non si direbbe, è
molto rinnomata visto che le più grandi fighters femminili in
Thailandia sono al nord.
A fine agosto di nuovo Bangkok: altra cintura! Vinco all’MBK fight
night la cintura WMO 54 kg contro un’avversaria molto tecnica contro
cui a febbraio avevo perso ai punti: Sarinna Jangwang. Dopo 3 giorni
provo a vincere il titolo Aitma Imtf 60 kg, ma perdo ai punti a Samut
Songkram, per davvero pochissimo.
MMA ARENA: Sei una delle Fighter che pur senza grossi clamori combatte e vince tanto tenendo alto il nome dell’Italia. Come è la vita e la carriera di una Fighter fuori dai nostri confini?
Miriam Sabot: Ciò che faccio qui non lo potrei mai fare in Italia: non è
possibile riuscire a mantenersi facendo solo questo. In una nazione
dove lo sport è incentrato solo sul calcio e gli sport minori sono
lasciati a loro stessi, non c’è spazio certo per Miriam e i suoi
incontri.
Prima di spostarmi in Thailandia, pur facendo parte del team Satori,
sembrava non ci fosse spazio per me nel mondo dei combattimenti. Ero
iscritta alle selezioni di Oktagon: nel 2011 arrivo in semifinale a
Genica contro l’atleta di casa, Veronica Vernocchi, e mi viene dato un
molto dubbio extra round, che perdo. Sfumata questa chance, l’anno
dopo sono ovviamente sempre tra le atlete aspiranti a Oktagon,
stavolta con le nuove regole del ranking. Mi ritrovo da subito con 500
punti….numero che, mentre le mie colleghe/potenziali avversarie lo
incrementavano o diminuivano a seconda dell’esito dei loro match,
rimaneva sempre uguale visto che in 9 mesi non sono riuscita a
combattere nemmeno una volta.
Qualcosa mi disse che se davvero volevo combattere, allora il panorama
italiano non era quello giusto.
In Thailandia dipende sempre dove vai a combattere. In linea di
massima nei grandi eventi gli atleti autoctoni difficilmente perdono
e, se lo fanno, a meno che non vadano ko, la vittoria dell’avversario
straniero non è mai certezza.
Mi hanno dato perso dei match che ancora ora, rivedendo il video, mi
chiedo come abbiano fatto ad alzare la mano dell’avversaria.
La stessa cosa vale per i combattimenti in Cina, ma almeno lì le borse
sono più consistenti e il fastidio della sconfitta passa prima.
Non è facile combattere all’estero. Non è facile soprattutto in Asia
dove la mancanza degli occhi a mandorla non ti consentirà mai di
essere perfettamente integrato.
Ma io vado avanti a testa alta, per la mia passione prima di tutto.
MMA ARENA: Come ti sei avvicinata agli sport da combattimento e in particolare a una disciplina dura come il muay thai?qual’e il tuo rapporto con i tuoi maestri?
Miriam Sabot: La mia storia sportiva inizia nel lontano 2006 in quel di Gorizia
quando, stanca e annoiata dal gran numero di ore passate a fare
aerobica e fit-boxe (calci e pugni al sacco a suon di musica), mi ero
messa in testa di voler imparare a calciare come si deve.
Io e il mio storico compagno di allora avevamo di recente visto un
incontro di un ragazzino armeno che si allenava a Gorizia, fortissimo.
Il match si era tenuto all’UGG e si era concluso con la vittoria
dell’armeno sul povero ragazzo svizzero Shemsi Beqiri per tko: braccio
spaccato.
Il nome di Giorgio Petrosyan a Gorizia si conosceva già allora. Ma è
nell’indole del goriziano medio non dare molto credito a chi dimostra
di avere qualche talento. Anzi, spesso l’invidia fa da padrona, perciò
tutti lo conoscevano ma nessuno ne parlava.
Ero davvero impressionata da quest’atleta e, spinta dal mio ragazzo
che praticava boxe (all’epoca la pugilistica goriziana, privata della
palestra Coni chiusa per lavori, si era temporaneamente trasferita in
quella dov’è si allenava Giorgio), mi sono fatta coraggio e sono
andata a provare.
Ho questo ricordo ancora vivido in me: parcheggiai l’auto nel cortile
del “Capit” e a stento riuscivo a vedere dove fosse l’entrata. Vidi
una piccola scritta logora e quasi cancellata “Muay Thai” e una
freccia che indicava le scale.
Scesi la gradinata un po’ sconcertata. In sottofondo il rumore sordo
di calci potenti tirato ai pao e il suono della voce di qualcuno che
sfogava tutte le sue energie su quei colpitori.
E quell’indimenticabile odore di olio thai misto a sudore e scarpe lerce
che da subito mi ha fatto capire che quello non era posto per gente
che vuole perdere tempo in chiacchiere: era la culla dei veri atleti,
del sudore e delle lacrime, era dove si sputava sangue. Satori
Gladiatorum Nemesis.
Entrai dentro e vidi per la prima volta Giorgio e Alfio Romanut
lavorare ai pao. Decisi all’istante che era lì che volevo stare.
Iniziai ad allenarmi e da allora non ho più smesso.
Gli allenamenti erano davvero impegnativi. Ma mi allenavano come un
ragazzo. E io non mi tiravo mai indietro. Dalle 3 volte a settimana
che facevano tutti gli amatori sono passata ad andare a correre nei
giorni in cui non mi allenavo. Da lì a poco sono finita col chiedere
ad Alfio se potevo andare in palestra anche in quei giorni. E poco ci
è voluto per guadagnare la sua stima e fiducia e finire tra gli atleti
della Satori che si allenavano al pomeriggio. Quindi, con tanta umiltà e
ammirazione, mi allenavo con i Petrosyan.
La Muay Thai era diventata la mia ossessione. A casa parlavo solo di
questo. Il mio compagno, Giuseppe, per fortuna era appassionato quanto
me e in poco tempo io, lui, Armen, Giorgio e Alfio siamo diventati
amici molto stretti. Solo chi fa questo tipo di sport ad alti livelli
può capire il tipo di legame che si crea tra compagni di palestra. Ci
si sostiene a vicenda, ci si picchia duro e lo si fa seriamente. Si
passa tanto tempo insieme che i compagni di palestra diventano i tuoi
fratelli. Questo sono per me i Petrosyan.
Ho impiegato 2 anni prima di esordire col mio primo match di k1 nel
Veronese. Ho vinto nettamente ai punti facendo contare la ragazza 2
volte al terzo round. Subito dopo il match non ricordavo molto e quando
rividi il video ero quasi infastidita a vedere quella ragazza alle
prime armi commettere così tanti errori. Ma ero abituata a vedere
combattere Giorgio e il fratello Armen…ho addirittura seguito
Giorgio a Stoccolma per vederlo affrontare Buakaw. La percezione del
mio stile era totalmente deviata dalle immagini mentali che avevo di
questi due fenomeni!
Il mio rapporto con Alfio, dopo tanti anni, posso dire sia di grande
amicizia. Ciò che dice lui per me è ed è sempre stato legge. Nutro
grandissima stima nei suoi confronti e fin dal primo giorno, quando mi
spiegò come eseguire un low kick, insieme alla tecnica mi accorsi che
mi trasmetteva anche tutta la sua passione per questo sport. Questo
rende grande un maestro, non solo chi è bravo a spiegarti una tecnica
ma anche chi è capace di darti quel valore aggiunto, chi vede in te
del potenziale e cerca di tirarlo fuori avocando sui tuoi punti di
forza e diversificando in base ad essi gli allenamenti. Alfio Romanut
rimane sempre il mio Maestro per eccellenza, la persona colpevole
della mia passione per questo mondo di calci e pugni, quello che mi ha
insegnato cosa sia il lavoro duro e la determinazione.
I trainer thai non sono lontanamente paragonabili. Mi sono sentita
spesso solo un numero per loro, che mi tenevano i pao perchè dovevano,
perché era il loro lavoro. Non certo per insegnarmi meglio una tecnica
piuttosto che un’altra: solo business. Per fortuna ci sono state delle
eccezioni. Alcuni trainer mi piace addirittura considerarli amici,
come Nueng, il mio primo thai trainer che ho avuto, e Boonsong che mi
ha portato al mio primo incontro di muay thai in Thailandia, o Mod
della palestra Eagle muay thai di Pukhet. Se non fosse per lo scoglio
della lingua saremmo sicuramente molto legati. Tuttavia, di tanto in
tanto, con qualche traduzione mal fatta, riusciamo a sentirci via
messaggio.
Ora il mio trainer è Emmanuele Corti, non solo italianissimo ma
addirittura di Trieste. Dall’altra parte del mondo mi sono trovata un
allenatore praticamente vicino di casa. Con lui si ride e si scherza
ma quando ci si avvicina al match è quello che ti porta oltre ai tuoi
limiti, ti fa arrivare allo stremo ma poi, quando si sale sul ring, si
è talmente pronti che vincere è la unica opzione considerabile.
MMA ARENA: sappiamo che a breve hai in programma un importante match, con chi combatterai e come ti stai preparando a questa nuova sfida?
Miriam Sabot: Il mio prossimo match in programma è il 1 dicembre a Lankgawi,
Malesia. Difendo il titolo WMC -56 kg (vinto nel dicembre 2015) contro
una thai Saifa Sor Suparut; con lei persi ai punti nel 2014 durante un
match organizzato da Muay Thai Angels. Un match presente su Youtube in
cui l’arbitro mi alza la mano per poi, con aria sbalordita, alzare
quella della mia avversaria. Vedremo ora dunque, quale sarà l’esito
del rematch.
Mi alleno duramente, due volte al giorno, dal lunedì al sabato. Il mio
coach conosce Saifa perciò stiamo lavorando su una strategia che spero
di riuscire ad attuare quando sarà sul ring. Di sicuro devo riuscire
ad evitare che lei si appenda furbescamente alle corde in modalità
scimmia come fece nel match precedente.
MMA ARENA: di tutti i tuoi match quale ricordi con più piacere e quale invece vorresti ripetere?
Miriam Sabot: Di tutti i miei match quello che mai scorderò è stato il mio primo
match di muay thai. Venivo da 6 incontri di K1 disputati in Italia, di
cui 4 con le protezioni. Nel 2011 mi sono presa tre mesi per praticare
la muay thai in Thailandia e la palestra in cui mi allenavo era la RMB
di Pattaya, gestita dal francese Rachid. Un giorno mi chiese se
volessi combattere a Bangkok per un grosso evento. “Ovviamente sì” fu
la mia risposta. Salta fuori che era la Queen’s Cup, evento in onore
della regina Sirikit. Passarono i giorni e a qualche giorno dal match
Rachid mi dice che in palio c’è anche una cintura, la WPMF. Non ci
potevo credere, ma mi sentivo un po’ come Rocky Balboa: avevo
l’occasione di portare a casa una cintura e non me la sarei mai persa.
Ovviamente la realtà è stata un po’ diversa. Prima di tutto
l’avversaria canadese si presenta con due kg di troppo. La fanno lo
stesso passare e io mi ritrovo una gigante sul ring il giorno dopo.
Non mi importava: venivo dalla Satori e non avevo certo paura di
nessuno. E infatti, finchè si trattava di stricking , l’ho tenuta a
bada. Ma subito all’angolo avversario avevano capito che il mio clinch
lasciava molto a desiderare, perciò lei mi chiudeva schiacciandomi
letteralmente alle corde e mettendomi così molti punti.
Match memorabile, disputato al Salam Luan (il parco reale di Bangkok),
all’1 di notte in diretta tv. Poco importava l’esito: avevo dato tutta
me stessa in un incontro in cui di sicuro non ero favorita.
Quello invece che vorrei ripetere è quello disputato al Kunlun fight
nell’aprile del 2016. Era stato organizzato in un posto in Cina
dimenticato da Dio, Xining. Scoprii alla fine del match che era in
altitudine e durante la prestazione non capivo come mai le gambe
fossero così pesanti.
Era un match alla mia portata, avrei potuto portare a casa facilmente
la vittoria ma questa cosa ha compromesso l’andamento del match e così
la cinese ha vinto ai punti, senza aver fatto un granché.
MMA ARENA: hai dei Fighter di riferimento?
Miriam Sabot: Sono cresciuta in questa disciplina guardano Giorgio e Armen
Petrosyan e rimarranno sempre il mio esempio.
Se parliamo di atlete donne, al momento mi piace Anissa Meksen, Sofia
Olofson e Joanna Jedrzejczyk e, ai tempi, seguivo anche Caley Reece.
MMA ARENA: con chi ti piacerebbe combattere e dove vorresti arrivare( in quale circuito) ?
Miriam Sabot:Al momento penso che vorrei un rematch con Chommanee Sor Tehiran.
Vorrei poter vincere ancora un paio di cinture importanti. Magari
riuscire ad arrivare a Glory, visto che in Cina ho battuto una che ha
vinto un match in questo circuito.
MMA ARENA:Cosa diresti a una ragazza che volesse iniziare la sua carriera sul ring?
Miriam Sabot: Che direi? Le chiederei:”ma sei sicura?” e poi le direi non farlo se è
una ragazza che ci tiene all’aspetto. Lo sport è duro e logorante. Le
tibie diventano come un colabrodo e capita di essere tagliati da
gomiti e di avere spesso occhi neri i cui ematomi non sempre si
assorbono a dovere.
Suggerirei di evitare di farlo come atleta professionista. Ma
sicuramente lo consiglio come ottimo modo per stare in forma: si usano
tutti i muscoli, si perde peso e si guadagna anche a livello di
autostima e sicurezza in sé stessi, il che non guasta mai.
MMA ARENA: grazie per la tua disponibilità e a presto! Chok dee
Miriam Sabot: Grazie a te, è stato un piacere! A presto!