L’onnipresente Roberto Saviano, autore del romanzo Gomorra (per alcuni passi del quale la cassazione ha stabilito il plagio, nda), è ormai assurto al ruolo di tuttologo.
In quanto tale, interviene sui più disparati argomenti, non da giornalista per raccontare i fatti, ma al solo fine di fare un certo tipo di propaganda.
La sua chiave di lettura del match di sabato notte è il riscatto dei messicani che verrebbero discriminati negli stati uniti. Fantastico. Geniale. Boxe e storie di riscatto costituiscono un binomio di sicuro successo.
Se avesse vinto Joshua, avrebbe scritto delle meravigliose opportunità della società multietnica, grazie alla quale un ragazzo nigeriano può vincere medaglie d’oro e salire sul tetto del mondo del professionismo con la bandiera inglese.
E’ perfettamente aderente al suo stile. Dire banalità strumentali per ottenere il facile consenso di una certa parte politica. Senza disdegnare di inventarsi cose che possano contribuire alla sua aura di santità. Non è nuovo il premiato scrittore a voli di fantasia. Ricordiamo quando in una polemica sulla figura di Peppino Impastato si inventò una telefonata con la madre, mai avvenuta .
Ognuno può essere fiero delle proprie radici, rivendicare la propria identità e le proprie origini, costituire esempio di riscatto sociale, eroico e catartico. Tutti. Basta che non siano maschi bianchi eterosessuali. Quelli devono star zitti. Poi i razzisti sarebbero gli altri.
Chi scrive è cresciuto esultando quando Patrizio Sumbu Kalambay vinceva titoli europei e mondiali con la bandiera italiana. E a nostra memoria mai nessuno si era permesso di fare speculazioni di questo tipo. Mai nessuno aveva ficcato il razzismo nella boxe.
Mai nessuno, in Italia, aveva sporcato la noble art con speculazioni razziste. C’è riuscito il signor Saviano. La propaganda politica deve stare fuori dallo sport.
Pregiatissimo dottor Saviano, faccia a tutti una cortesia, continui a scrivere su Repubblica e a parlare in TV, sempre senza contraddittorio, di tutti gli argomenti che preferisce. Il suo pubblico continuerà a seguirla. Ma lasci lo sport a chi lo ama, e non metta questioni razziali a sproposito solo per lanciare i suoi messaggi politici. Aver frequentato una palestra o contibuito a realizzare un documentario non fanno di lei un giornalista sportivo.
Con cordialità, ma senza alcuna stima, la saluto.
Phoenix