Alla lotta e al pancrazio venivano attribuite origini mitologiche e divine: si diceva che Teseo, l’eroe vincitore del Minotauro, l’avesse insegnata agli uomini dopo averla appresa dalla dea Atena.
Con un incipit così possiamo sicuramente affermare che lotta e’ uno degli sport più antichi che si conoscano. Nei graffiti preistorici risalenti al III millennio prima di
Cristo e conservati presso il British museum of London è possibile riconoscere le figure di persone che combattono con i pugni chiusi. Le prime sfide competitive nella storia umana sono testimoniate dagli inni e leggende delle civiltà della mesopotamia e dell’antico egitto. In Egitto era guardia scelta del faraone Ramses II la tribù guerriera Shardana proveniente dall’isola di Sardegna, dove sono state ritrovate al suo interno numerose statue di pugili del primo millennio che, secondo l’archeologo e accademico dei Lincei professore Giovanni Lilliu, precedono la statuaria greca e gli stessi racconti omerici.
L’epica sumera, l’inno di Shulgi o i racconti di Gilgamesh, sono pieni di riferimenti su incontri di pugili e di lottatori che si affrontavano con audacia in combattimenti selvaggi e brutali.
In Egitto, gli incontri di lotta erano particolarmente apprezzati anche dai faraoni e le tecniche, sempre in evoluzione, sono ben rappresentate in molti dipinti murali tra cui le 400 immagini di combattimenti corpo a corpo dei muri del tempio di Ben Hasan risalenti al 2000 a.C.Non sappiamo bene quando questo modo di combattere divenne una disciplina sportiva vera e propria, con tanto di atleti e apparato organizzativo.
Le prime testimonianze letterarie che ci descrivono questo sport sono contenute nel 23º canto dell’Iliade di Omero, che ci narra dei giochi funebri organizzati da Achille in onore della morte di Patroclo: Epeo, che sarà ricordato come il costruttore del cavallo di Troia, primeggia nelle gare di pancrazio. Alcuni particolari però manifestano una disistima di Omero per il pancrazio dei suoi tempi: il premio allo sforzo di Epeo è una giumenta “indomita” (e quindi “inutile”); lo stesso Epeo dichiara di sapersi battere nel pancrazio, ma non nella guerra (attività nella quale i migliori eroi omerici devono distinguersi).
Cos’era il Pancrazio
Possiamo identificare il pancrazio come il più autentico progenitore delle moderne MMA nel quale confluivano infatti le tecniche di percussione del pugilato (senza l’uso dei micidiali cestus) le tecniche di calcio, le tecniche di sbilanciamento proprie della lotta e le immobilizzazioni e colpi al suolo.
I greci consideravano la lotta con i pugni una disciplina completa ed ideale, con la quale un uomo poteva sviluppare una mente vigile e reattiva in un corpo sano e robusto.
Molto spesso capitava che un pugile infierisse senza pietà nei confronti dell’altro nonostante questo fosse caduto a terra. L’atleta greco non gareggiava per un team, ma era solo con se stesso per raggiungere il massimo, la superiorità o come si diceva in antichità arete, cioè eccellere. Questo concetto è ben lontano da quello moderno decubertiniano “l’importante è partecipare” perché per il greco solo il vincitore meritava adulazione ed il premio, gli sconfitti provavano vergogna e venivano umiliati, non esisteva la concezione del secondo e terzo posto.
Popolare anche presso gli Etruschi e successivamente ripreso dai Romani come spettacolo circense cruento e sanguinoso Gli antichi Greci si consideravano un popolo guerriero e se si vuole comprendere l’agonistica greca occorre proprio partire da qui.
Il Dio greco della guerra, ARES, era la personificazione “della mascolinità” intesa come volontà di potenza, a cui è connessa l’”eccellenza marziale”, ARETE, concetto che ingloba in se le virtù del guerriero Omerico: gloria (KLEOS), onore (TIME’) e bontà (AGHATOS).
Gli agoni classici nascono sia come strumento di addestramento militare che come riti funebri in onore degli eroi di guerra defunti (AGONES EPITAFIOI).
In seguito, tali eventi furono inseriti all’interno di cerimonie sacre (AGONES IEROI). Gli agoni da combattimento, in particolare, divennero l’occasione per sfoggiare l’eccellenza marziale in tempo di pace e uno strumento di educazione civica.
La tradizione vuole che i 300 spartani in attesa dell’arrivo dei persiani ingannassero il tempo con tornei di lotta e non rinunciassero al loro allenamento quotidiano oltre che per esibire la loro tranquillità per impressionare gli avversari con la loro forza.
Il “combattimento marziale” (MACHIA) può essere distinto in armato (HOPLOMACHIA) e disarmato, a mani vuote. Surrogato dei combattimenti marziali sono gli sport da combattimento tra atleti a mani nude, anzi completamente nudi (GYMNOS), chiamati “agoni pesanti” (BAREA AGONISMATA).
Il “combattimento totale” a mani vuote (PAMMACHIA), a sua volta, si differenzia in combattimento a mani chiuse ed a mani aperte.
In un caso si colpisce con il
“pugno” (PYGME), nell’altro si
intreccia (impalmatura – In Italiano “im(pal)mare” significa sia intrecciare dei cavi che legarsi sessualmente con una donna) e si lancia (palleggio –
“(Pal)leggiare” deriva dal greco “ballizo”, io lancio con le mani.) l’avversario con il “palmo” della mano (PALAISTE o PALAME o PALESTES).
ETIMOLOGIA DI PYGME E PALE
Plutarco, Moralia 638B-F.
Sembra che palê sia derivato da palaistê [palmo della mano], perché i lottatori svolgevano buona parte delle loro cose con le mani, proprio come i pugili agiscono con i loro pugni [pugmê] .
(A sostegno dell’ipotesi di Plutarco si consideri che sia il pugno che il palmo venivano utilizzati dai Greci come unità di misura di lunghezza: pygme=distanza dal gomito alle nocche, palaste= larghezza di 4 dita)
Per combattimento mano a mano si intendeva ieri come oggi il combattimento corpo a corpo, quindi con Pygme si intendeva genericamente il combattimento basato sui colpi (non solo di pugno), con Pale la lotta basata su tutti i tipi di legamenti (non solo di palmo).
PYGME=AGONE PESANTE BASATO SUI COLPI
Theocritus Idyll 22.27-134
Amykos Solleva le tue braccia , e affronta me, un uomo, uno a uno.
Polydeukes Pugilato [solo] con i pugni o anche con i colpi di piede alle gambe?
PALE=AGONE PESANTE BASATO SUI LEGAMENTI
Ambrose, Commeti su Psalm 36. 55.
E così nei giochi di questa era c’erano coloro che lottavano in un certo modo senza paura e in accordo con la legge e competevano solamente mediante legamenti del corpo, non imparavano a colpire, loro che erano chiamati lottatori.
Scholiast a Platone legge 796A Kerkyon, in Grecia ,
Theseus inventò la lotta con le mani, e Kerkyon, figlio di Branchos e della ninfa
Argiope, la lotta con le gambe.
Regolamento
Nel combattimento agonistico totale a mani vuote, i due contendenti si affrontavano come potevano, utilizzando “tutte le manovre” del pugilato e della lotta (non canonici).
Sulla sabbia fine potevano scuotersi in “tutte le maniere” per farsi male,
sia in posizione verticale “con i pugni” (PYX), “con i calci”
(LAX) e con la “lotta eretta” (ORTHEPALE) che orizzontale “rivoltandosi nella polvere” (ALINDISIS), “rotolandosi” a terra allo scopo di provocare la resa dell’avversario mediante colpi o prese dolorose (KYLISIS).
. Per la violenza dei colpi, l’incontro di pugilato veniva considerato anche come una guerra vera e propria, una “battaglia con i pugni”, per cui veniva chiamato anche PYGMACHIA. Per lo stesso motivo, anzi a maggior ragione, il pancrazio veniva anche chiamato “battaglia totale”, PAMMACHIA)
Possiamo anche tradurre la parola pankration come agone in cui si combatte con “tutta la forza” a disposizione, ”l’intera forza” del corpo, con tutte le (man)ovre e in tutte le (man)iere e, più in particolare, sia con il palmo che con il pugno, con “tutta la forza della mano”. Infatti KRATEO va inteso come possedere e/o esercitare il “potere”, sia il potere “di” che quello “su” qualcuno o qualcosa, nel senso di dominare, sottomettere, vincere, governare e in senso figurato “maneggiare”, fare e operare con le mani (da cui manipolare, afferrare, tenere in pugno/in mano, stringere, reggere ecc.). Ne segue la possibilità di interpretare in senso figurato KRATOS come “forza manuale” (si pensi alla mano di Zeus). Non a caso, la parola greca KRATEMA significa anche ”presa” della mano.
Va aggiunto che Krateo significava anche, in astratto, “essere superiore, il migliore” . Così possiamo considerare il pantocratore come colui che “vince tutti” e il pankration come l’aspirazione ad essere “superiore a tutti”, “il migliore di tutti”, l’agone non plus ultra, l’agone leader.
Secondo la mitologia greca il dio PAN è lo spirito di tutte le creature naturali. A volte l’universo in cui viviamo, con le sue avversità, ci spaventa, ingenera (pan)ico. Il pancrazio nasce come rituale religioso in cui si mette in scena la lotta per la sopravvivenza allo scopo di esorcizzare la paura della morte. Infatti i pancraziasti erano pronti a sacrificarsi e a sacrificare l’avversario fino all’estremo per raggiungere la “sacra vittoria” (NIKE). Invertendo l’ordine delle parole possiamo tradurre pankration come “forza del tutto”. Ne segue una interpretazione esoterica della gara più virile dell’antichità, dell’agone dell’agonia per antonomasia. Il pancraziaste può essere visto come un iniziato che per avvicinarsi all’assoluto e conoscere se stesso si mette a praticare un esercizio estremo utilizzando la “forza di Pan”, la “forza universale” della vita ossia l’energia vitale.
L’area di gara
Ovviamente erano ancora lontani i tempi del ring (o la gabbia) come lo concepiamo noi. Sia le gare, che gli allenamenti, si svolgevano in uno spazio con sabbia predisposto nello stadio o nella palestra chiamato Skamma, questo attuttiva tra l’altro le cadute e dava maggior stabilità nelle tecniche effettuate in piedi.
Una delle particolarità delle antiche Olimpiadi era l’abitudine a combattere sotto il sole cocente estivo a metà della giornata. La maggior parte delle manifestazioni avvenivano in piena estate, e competere sotto la coltre di calore con i raggi perpendicolari poteva essere un nemico in più per la ricerca dell’agognata vittoria e non di rado atleti famosissimi altrove, persero proprio per il disagio a questa situazione ambientale.
Era usato abbondantemente olio di oliva per contrastare scottatture ma anche per tutelare la pelle da abrasioni ed escoriazioni dovute alle prese e per le pressioni continue nella fase di lotta; proprio a causa di questa usanza si formava sul corpo uno strato di olio e sabbia chiamato Gloios, che veniva eliminato, negli spogliatoi, con l’uso dello strigile (un arnese di metallo a forma ricurva), e molte volte venduto per la credenza che questo composto avesse potere guaritivo.
Le palestre in antichità provvedevano oltre all’allenamento degli atleti anche a essere fulcro dell’educazione. Gymnasion era il termine che indicava i luoghi dello sport, che oltre la palestra avevano anche spazi per le altre discipline; questo vocabolo deriva da Gymnos che significava nudo e Gymnasion: luogo dove ci si allena nudi, (pratica detestata dai Romani e dagli etruschi che usarono sempre uno Zoma, una specie di gonnellino di pelle o di stoffa, per coprirsi).
L’allenamento fisico iniziato fin da bambini all’interno dei ginnasi ed una forte predisposizione mentale all’evento, erano fondamentali per raggiungere la vittoria.
LE BORSE
I campioni dell’antichità venivano innalzati ad eroi, pagati nei festival più importanti solo con una corona, come quella di ulivo ad Olimpia. Ma con dei riscontri molto di successo nella vita quotidiana. Le loro città infatti, profondamente grate per quella sorta di pubblicità positiva generata dalla vittoria, li ricompensavano in diversi modi: dai premi in contanti ai pasti gratuiti garantiti per il resto della loro vita; dalle alte cariche ricoperte all’interno del tessuto sociale alle agevolazioni fiscali, fino agli appuntamenti di gala. Inoltre era prassi assai diffusa commissionare statue degne di un Dio ai migliori scultori, oppure odi di vittoria ai poeti più famosi.
Divennero quindi delle vere celebrità e personalità influenti e le città dell’antichità facevano di tutto per potersi onorare ad avere un atleta nelle loro mura. Anche nel periodo imperiale romano, molti aristocratici e imperatori, affascinati dalla cultura greca divennero loro stessi atleti.
Diverse scuole di pensiero invasero la Grecia Antica, affondando nel dibattito su come allenarsi dal punto di vista fisico, come prepararsi dal punto di vista mentale e come impostare una dieta bilanciata. A questo proposito una voce autorevole fu quella di Aristotele: egli era fortemente contrario ad un allenamento eccessivo che risultava addirittura controproducente per gli atleti stessi. Allo stesso tempo consigliava di anteporre, in giovane età, lo sviluppo intellettuale a quello fisico, in quanto i due percorsi avevano modi e tempi estremamente diversi.
Nacquero i primi rudimenti di medicina e dietetica sportiva: Pitagora, frequentava i lottatori della famosa scuola di Crotone (tra cui il famoso Milone, di cui sposera’ la figlia) proprio per consigliare nuove metodologie nella dieta, tra cui il consumo di molta carne e altri derivati da animali, ma anche per studiare i benefici degli esercizi sulla fisicità umana.
La dieta degli Eroi
Come dicevamo le basi dell’alimentazione sportiva furono trattate proprio in quest’epoca mitica per consentire agli Eroi di gareggiare e competere al massimo delle loro forze:
La colazione era di solito composta da pane, miele, latte di capra e farina impastata con olio;
Il pranzo a mezzogiorno comprendeva invece la frutta secca, accompagnata da fichi, crostoni di pane di farro con vegetali, olive nere, uova, formaggio caprino e alte quantità di vino mielato;
Per finire, a cena, spesso si consumava carne allo spiedo o alla griglia accompagnate da erbe aromatiche, zuppa nera con carne, formaggio, verdure cotte o crude, pesce marinato e frutta.
Gli eroi dell’epoca classica
Alcuni atleti divennero talmente importanti e famosi che le loro imprese arrivarono oltre le frontiere dei territori del mondo greco-romano:
MILONE DI CROTONE – Il più grande atleta di tutti i tempi”.
E’ questa la frase che sentirete dire probabilmente agli storici se chiedete loro di Milone. Pugile, lottatore ma anche guerriero, fu il comandante dell’esercito Krotoniate che nel 510 a.C sconfisse Sibari nella battaglia di Nika, in una guerra in cui si affrontarono 100.000 krotoniati contro 300.000 sibariti.
L’atleta Milone è sicuramente una figura fondamentale nella storia delle Olimpiadi, dove ottenne numerose vittorie sia nella lotta che nel pugilato, a partire dalla prima partecipazione nel 540 a.C a soli 15 anni fino all’ultima vittoria del 512 a.C nella 67a olimpiade. Non solo olimpiadi per Milone, ma anche 10 vittorie alle gare Istmiche, 9 vittorie alle Nemee e 7 vittorie ai giochi Pitici di Delfi. Tanta gloria rese Milone uno dei personaggi più illustri e famosi del mondo antico, oltre che l’atleta più forte di tutti i tempi.
Era noto, oltre che per la grande forza, anche per il grande appetito. Pare, infatti, che una volta avesse portato di peso un toro di 4 anni allo stadio, fatto un giro di campo con l’animale sulle spalle, che l’abbia ucciso con un colpo solo e che se lo sia mangiato fino all’ultimo boccone. Come se non bastasse, si racconta che egli fosse alto circa due metri e che era capace di sollevare anche un uomo con un dito della mano. La sua enorme forza salvò l’intero gruppo aristocratico della Polis – guidato da Pitagora – in occasione di un terremoto che sorprese il gruppo proprio mentre era in riunione in casa del filosofo di Samo, Milone, cosi, si sostituì ad una colonna spezzata dal sisma reggendo sulle sue spalle il soffitto dell’abitazione per quei minuti necessari a sgomberarla completamente salvando i presenti.
La data della morte di Milone è sconosciuta ma, come per la maggior parte degli antichi greci famosi, la dinamica del decesso è divenuta un mito. Secondo Strabone e Pausania, l’ormai vecchio Milone stava attraversando un bosco quando s’imbatté in un ulivo secolare sacro alla dea Hera, dal tronco cavo. Il lottatore inserì le mani nella fenditura per spezzare in due il tronco in un’ultima dimostrazione di forza ma la dea, adirata da quell’atto sacrilego, lo punì levandogli le forze ed egli vi rimase incastrato divenendo preda di un branco di belve. E’ conservata oggi, nel museo del Louvre una statua che lo ritrae mentre viene divorato da un leone.
Altro guerriero degno di nota fu il campione
Polidamante di Scotussa. Le gesta eroiche di questo campione arrivarono anche in Persia, acerrima nemica della Grecia, dove Dario II lo invitò alla città di Susa, per farlo sfidare da tre combattenti persiani, chiamati gli “immortali” per la loro forza ed astuzia. Per il mondo greco combattere al di fuori delle competizioni regolamentari atletiche era una cosa impensabile, non concepibile, ma i persiani che non vedevano di buon occhio il mondo della palestra (come descritto da Luciano nell’Anacarsi) volevano uno scontro cruento, violento fino alla morte, al di fuori da ogni regola di gara. Polidamante, che aveva vinto centinaia di incontri, accettò senza batter ciglio e si presentò al combattimento (chiese solo di essere pagato profumatamente), dove affrontò tutti e tre i persiani, con poco tempo per riposare tra un incontro e l’altro. Ne ammazzò due e fece scappare l’ultimo combattente in preda alla paura; tutti i persiani rimasero sconvolti da tale potenza e da tali conoscenze. Non si conoscono i dettagli riguardo alle sue origini, la famiglia o la sua vittoria alle olimpiadi. Sono note invece le incredibili storie che narrano della sua immensa statura ma soprattutto della sua forza portentosa. Si narra che Polidamante uccise a mani nude un gigantesco leone sul Monte Olimpo, che fermò un carro in piena corsa o che tenne fermo un toro infuriato tenendolo per la zampa posteriore. Secondo Pausania era spinto dall’ambizione di rivaleggiare con le fatiche di Ercole.
Alla fine, nonostante la sua forza, non riuscì a evitare la propria morte. Si narra che un giorno d’estate Polidamante e i suoi amici si stavano riposando all’interno di una grotta, quando il soffitto iniziò a cedere. Polidamante, facendo affidamento sulla sua enorme forza, alzò le mani verso il soffitto e cercò di bloccarne la caduta. I suoi amici poterono uscire indenni dalla grotta, ma Polidamante perì al suo interno schiacciato dalle rocce.
La visione dell’atletica e dell’allenamento greco incominciò così ad incuriosire anche popoli nemici o lontani e ad arrivare, come nel caso di Alessandro il Grande, sino alla lontana India dove l’importazione di questa nuova realtà fece nascere le prime pratiche agonali indiane ( di cui abbiamo parlato recentemente)
I campioni gareggiavano, oltre che per la corona, soprattutto per i premi: infatti il termine Athlon, da cui deriva “atletica” e “atleta”, significa proprio “competere per un premio”; oltre le contese anfore di olio di oliva era il denaro che attirava i desideri di questi uomini. I veri campioni inoltre miravano anche a farsi immortalare in una statua e diventare simbolo per i propri cittadini, parenti ed amici, ma anche avere una chance di immortalità come possiamo leggere nelle Odi del poeta Pindaro. Proprio attraverso l’arte classica si può oggi percepire come e cosa facessero gli atleti nell’antichità. L’atletismo antico affascinò talmente gli artisti dell’epoca e quelli a venire da essere equiparato all’affascinazione religiosa.
Gli atleti e la vittoria olimpica (Nike) divennero così importanti che durante le festività olimpiche tutte le guerre cessavano per permettere di giungere nei luoghi deputati alle competizioni da ogni dove, senza subire danno o problemi di tipo logistico. Molti viaggiavano con sacrificio e privazioni per intere settimane pur di partecipare o per essere spettatori dei giochi olimpici.
Pancrazio nell’era moderna
Al momento della nascita delle olimpiadi moderne venne discussa la possibilità di integrare il pancrazio tra le discipline dei giochi ma lo stesso Pierre de Coubertin, fondatore dei giochi olimpici moderni, si disse contrario all’introduzione di tale sport da combattimento.
Con lo sviluppo e la diffusione di nuove discipline basate sulla mescolanza di differenti arti marziali e sport da combattimento come le arti marziali miste (MMA), la United World Wrestling (la Federazione Internazionale di lotta olimpica riconosciuta dal CIO) decise di inserire ufficialmente una forma moderna di pancrazio tra le discipline lottatorie. Nei primi anni novanta la federazione russa di Pancrazio organizzò diversi tornei disputati a mani nude molto simili ai valetudo brasiliani e alle prime edizioni dell’ufc statunitense. Oggi il Pancrazio è l’unico stile di “MMA” riconosciuto da una Federazione Internazionale riconosciuta dal CIO (la United World Wrestling) e viene proposto in due stili:
Pankration Traditional (combattimento totale a contatto pieno ma senza colpi alla testa)
Pankration Elite (combattimento totale a contatto pieno in cui sono ammessi anche i colpi alla testa)
Tutte le modalità prevedono un tipo di uniforme composta da rash guard e shorts. Il Pancrazio rappresenta la forma di combattimento a contatto pieno più completa e vicina ad un confronto reale; viene utilizzato come addestramento per la difesa personale (Pancrazio Amyna) e nei corpi militari di molte nazioni. Il Pancrazio prevede anche tornei professionistici con un format simile a quello delle arti marziali miste pro. Una delle organizzazioni più note è la Modern Fighting Pankration MFC. Diversi combattenti che oggi combattono e vincono nell’ottagono hanno una esperienza nel Pancrazio. Da pochi anni il Pancrazio è stato inserito negli Sport Accord Combat Games. Recentemente, grazie agli sforzi della United World Wrestling, questo stile di combattimento millenario è stato incluso nei prossimi European, Asian e World Games, eventi organizzati dal CIO.
Il Pancrazio in Italia
La Federazione Italiana Pancrazio Athlima (FIPA).
La Federazione Italiana Pankration (FIPK) Unica Federazione Italiana riconosciuta dalla WPAF la Federazione Mondiale Pancrazio Athlima riconosciuta dallo stato Greco e dal Comitato Olimpico Greco.