Anche la storia di Francis Ngannou è una di quelle che potremmo vedere in un film.
Nato e cresciuto nella povertà, in un piccolo villaggio in Camerun, ha avuto un’infanzia molto difficile.
Nel 1986, l’anno in cui Francis è nato, nella sua nazione non c’era l’istruzione gratuita fornita dallo stato, quindi molti bambini erano costretti a lavorare per permettersi la scuola.
“In Camerun i bambini hanno molti problemi. E’ come se non gli fosse permesso di sognare. Non possono essere ambiziosi. Accettano semplicemente di essere vittime della loro vita.”
All’età di sei anni i suoi genitori divorziano, così il piccolo Francis è costretto a spostarsi continuamente da una casa all’altra con la madre, tre fratelli e una sorella.
Nessuno prendeva sul serio i sogni di Ngannou, cresciuto con il mito di Mike Tyson, anche se non aveva nessun posto dove poter imparare la boxe. Quando parlava dei suoi desideri le persone lo prendevano in giro. Come gli altri bambini, Francis iniziò a lavorare molto presto, in condizioni pessime e sottoposto a uno sforzo fisico che era davvero troppo per la sua età.
Il padre di Ngannou era noto per i suoi combattimenti in strada e per i suoi numerosi problemi con la legge.
“Aveva una brutta reputazione. Quindi quando le persone mi vedevano grande, grosso e potente mi dicevano che sarei diventato come lui. Me lo dicevano di continuo e io non lo sopportavo. Mi sono vergognato molto per questa cosa. Ho pensato che non sarei mai diventato come mio padre.”
Comunque a Francis piaceva combattere. A 22 anni lasciò il suo villaggio per trasferirsi nella città di Douala, dove iniziò finalmente a praticare la boxe. Dopo qualche anno decide di trasferirsi in Francia:
“Le persone mi dicevano che l’Europa non è il paradiso. Io rispondevo che partivo per creare il mio paradiso, e combattere per tutto quello che avevo sognato.”
In seguito, la svolta, grazie all’incontro con l’ex allenatore Fernand Lopez, che lo distoglie dal suo proposito di diventare un pugile. Lopez introduce il fighter alle arti marziali miste. Lo accoglie come un figlio e gli consente di allenarsi gratis nella sua palestra parigina, la MMA Factory, e perfino di dormirvi.
UFC aveva abbastanza elementi a disposizione per presentare Ngannou al grande pubblico come il fighter che viene dalla strada, dalla povertà, che cerca il riscatto personale e sociale nello sport, e che un giorno viene salvato da un benefattore come per magia.
“Non avevo le fasce, il paradenti, le protezioni, non mi importava di niente. Ero solo eccitato dall’idea di potermi allenare”.
Diventò fortissimo in pochi anni tanto da rendere impossibile un incontro con lui in Francia, nessun fighter accettava di combattere contro una tale forza della natura.
Una struttura impressionante, alto più di un metro e novanta con un fisico proporzionato e persino elegante per un uomo di trent’anni che pesa centoventi chili e combatte in una categoria dove non è raro vedere fighter con fisici non esattamente scolpiti. Ha delle mani enormi e delle braccia lunghe che tiene sempre un po’ piegate, dando l’impressione di non essere mai veramente a riposo. Da quel corpo esce una voce da bambino, con una sfumatura di ingenuità e dolcezza che contrasta drammaticamente con il suo aspetto e con quello che sappiamo è in grado di fare a un altro uomo. In realtà, con così pochi incontri alle spalle in quell’insieme lisergico di discipline che chiamiamo MMA ci si chiedeva come se la sarebbe cavata contro un veterano del livello di Alistair Overeem, che anche se è più vecchio di lui di solo sei anni aveva già combattuto 59 incontri da professionista.
Ngannou ha fatto qualcosa che in molti dicono di non aver mai visto prima.
Il colpo con cui ha mandato KO Overeem dopo un minuto e quarantadue secondi ha fatto dire a Luke Thomas, nel suo podcast di commento settimanale, che
«ha una potenza che ti dici: se le cose si mettono ancora peggio di così, siamo sicuri di poter approvare questo tipo di violenza?».
E poi:
«Francis Ngannou è vicino al limite oltre cui se avesse appena più potenza di così penso sinceramente che avremmo un problema molto serio».
Pochi giorni prima dell’incontro Francis Ngannou ha eseguito un test per calcolare la potenza dei suoi pugni e a quanto pare ha battuto il record mondiale. Con la sua mano forte, quella destra.
Alistair Overeem, è andato al tappeto con un colpo mancino. Non era neanche un vero e proprio uppercut, ma un colpo partito dal basso, di lato, arrivato a segno non del tutto pienamente.
Alistair Overeem aveva già subito una decina di knockout in carriera, anche se nessuno così rapido, così violento. La sua testa ha rimbalzato all’indietro con violenza, come quella di un manichino per i crash-test, mentre le gambe si piegavano e il resto del corpo si è afflosciato su se stesso.
A quel punto, dopo che il suo avversario è crollato a terra, un fighter è tenuto andare avanti finché l’arbitro non lo interrompe. Anche se alcuni lottatori riescono a rendersi conto dello stato dei loro avversari e a risparmiarli colpendoli al petto o sulla spalla con pugni più che altro simbolici, in molti incontri un atleta è in grado di riprendersi dopo un colpo che gli ha tolto le gambe, o anche spento la luce per pochi attimi.
Sul secondo pugno di Ngannou il corpo rigido di Overeem, con i piedi tesi si solleva dal tappeto.
La mattina dell’incontro Francis Ngannou dice di sentire che «l’istinto del fighter prende il sopravvento sull’uomo». Che «il Predatore prende il posto di Francis».
Dopo tante battaglie però il rapporto fra Ngannou e Lopez sembra essersi oramai incrinato, e in maniera irreparabile. Lo scorso agosto, Lopez si è pronunciato su alcune dichiarazioni di Dana White contro Ngannou, secondo le quali il camerunese sarebbe preda del proprio ego smisurato. Lopez, che aveva allenato Ngannou in vista dell’incontro con Miocic, ha sostenuto che allora Ngannou non si era attenuto al gameplan. Il camerunense aveva deciso di testa sua di combattere solo in piedi senza applicare nulla del grappling in cui pure si era allenato. Il risultato? Lo sfidante al titolo ha poi passato la maggior parte dei cinque round a terra sotto il peso e la pressione di Miocic.
L’ex allenatore, poi, ci teneva a sottolineare questa cosa. All’indomani della disfatta totale di Ngannou contro Miocic, i riflettori erano tutti puntati su di lui. Il gameplan dell’incontro non poteva non risultare ridicolo (per non dire altro), ma la colpa era stata tutta del camerunese, che aveva voluto fare di testa sua. Lopez, per quanto lo dica da “fratello”, si è trovato nei fatti d’accordo con Dana White: Ngannou ha un grave problema di ego.
Questo problema di ego emerse in effetti subito dopo UFC 220. Ngannou, che fino a quella data si era allenato con Lopez tra la MMA Factory francese e lo UFC Performance Institute a Las Vegas, decide poi di cambiare palestra in vista dell’incontro con Derrick Lewis a UFC 226, e passa alla Syndicate MMA di Las Vegas sotto la guida di John Wood. Da come Lopez descrive l’accaduto, non sembra essere stato un addio felice. Insomma, è tutta colpa del mio coach e del mio team se ho perso in maniera così eclatante, e quindi me ne vado.
Ngannou ha affrontato Lewis sotto l’egida di un altro team, che ha scelto per non fare gli errori del passato. La sua performance sarà stata migliore o, per lo meno, diversa dalla precedente. In effetti sì, è stata diversa, ma in peggio. Terribilmente in peggio. Perché se l’incontro con Miocic ci ha mostrato uno Ngannou “exposed”, nell’incontro con Lewis abbiamo assistito alla performance di un fighter esitante, troppo esitante, quasi spaventato di fare la prima mossa. Non a caso l’incontro fra Lewis e Ngannou è stato definito uno dei peggiori incontri di pesi massimi della storia delle MMA, se non il peggiore ( probabilmente da chi non ha visto Kimbo slice vs dada 5000).
Bisogna ammettere che il camerunese è stato onesto con se stesso e con gli altri, non ha accampato scuse, e ha dichiarato che la pessima performance contro Lewis era figlia del trauma derivante dalla sconfitta subita ad opera di Miocic cinque mesi prima. In altri termini, noi lo vedevamo imbalsamato nell’ottagono perché nei fatti lui era pietrificato dalla paura di fallire di nuovo.
In vista del suo successivo incontro con Curtis Blaydes a Ufc Fight Night 141, Ngannou ha dichiarato che ha ritrovato la fiducia in se stesso e che è pronto a zittire coloro che lo criticano.
Il predatore ritrova così la fiducia in se stesso sconfiggendo Blaydes per TKO alla prima ripresa con le sue mani pesantissime.
Segue un altro ko devastante questa volta ai danni dell’ex campione della categoria Cain Velasquez ( che deciderà di passare definitivamente al mondo del pro wrestling ed abbandonare le mma seguendo la collega Ronda Rowney).
Velasquez crolla in appena 26 secondi dopo il suono della campana.
Ultima vittima in ordine di tempo l’ex avversario storico di Cain Velasquez ovvero Junior “cigano” Dos Santos, nemmeno lui riesce a fermare la bestiale potenza di Ngannou e resiste appena 1 minuto e 11 secondi ai colpi devastanti del camerunese.
Una impressionante striscia positiva di 3 vittorie tutte per ko contro avversari quotati che confermano il talento di questo fantastico atleta dal non facile carattere ma dall’enorme potenziale.