Sono pochi gli italiani che si sono misurati in match sanzionati ufficialmente nell’arte marziale tradizionale del Myanmar, famosa per i match spesso al limite del cruento che permettono tutti i colpi ammessi nella muay thai con l’aggiunta delle testate e delle proiezioni d’anca.
Prima di andare a scoprire chi sono e sentire le loro esperienze è però necessario fare alcune precisazioni.
Il lethwei è comunemente svolto nella forma tradizionale delle KO rules (vittoria solo per KO, con concessione di un eventuale time out per riprendersi da un atterramento/conteggio), sebbene in tempi recenti sia salita alla cronaca una nuova promozione con una formula a punti che mira ad offrire un format più commerciale ed appetibile al mercato estero e televisivo.
I promoter di Lethwei offrono ai combattenti stranieri borse base sostanzialmente più consistenti rispetto, ad esempio, a quelle della muay thai con i guanti della vicina Thailandia. Ciò è facilmente comprensibile, visti i rischi più alti accettati dai pugili. Fratture alle mani, tagli, abrasioni e infortuni agli occhi sono infatti frequenti in questa specialità , in quanto il pugile non può contare sulla protezione offerta dal guanto.
Premi knock out sono anche spesso associati alla borsa base, con un arbitraggio tendente al ‘lasciar fare’: per incorrere in un conteggio il combattente deve essere visibilmente in difficoltà.
Le categorie di peso offrono più largo respiro, con i pugili che si sfidano normalmente in ‘walking weight’ e 4-5 kg di differenza sono consuetamente accettati.
Condizione necessaria: essere uno striker efficiente e con una buona tenuta dei colpi, ma soprattutto una consistente esperienza sul ring, unita ad un’attitudine a scambiare: i tecnici puri non sono adatti a questa specialità.
Partiamo quindi con Miriam Sabot, prima italiana a cimentarsi nel lethwei, avendo sfidato rispettivamente la campionessa Veronika a Yangon nell’evento Air KBZ nel Lethwei tradizionale, finendo con un pari, e Petchnaree (WMC world champion) nel Lethwei a punti, vincendo per stop medico.
Mai avrei pensato che un giorno avrei disputato dei match di lethwei!
Cosa penso di questa disciplina? Brutale. Intensa. Pericolosa.
Mi è piaciuto? Beh, con guanti o senza a me piace salire sul ring. Ma questa particolare disciplina rappresenta una sfida soprattutto con se stessi e solo chi lo ha provato può comprendere.
Farlo per la prima volta con regole lethwei tradizionali, a Yangon in Birmania, contro la campionessa della mia categoria in un match sanzionato come co-main event della serata, beh, ha alzato l’asticella della sfida ai limiti della follia, ma che esperienza!
In tutta sincerità non mi è piaciuto per nulla il mio primo round, io sono sempre un po’ diesel ed uso i primi minuti per “valutare gli automatismi”, ma la mia avversaria aveva già bene chiaro in mente che voleva solo buttarmi giù il prima possibile!
Così, dopo una prima frazione di pugni e testate tenuti più o meno a bada ed una pausa all’angolo in cui mi sono resa conto che erano senza dubbio i colpi più duri che abbia preso in carriera, mi sono imposta che al suono della campana avrei dovuto dare il massimo.
Nel secondo round sono così finalmente riuscita ad entrare nel match addirittura spegnendo la mia avversaria con un colpo d’incontro che la fece cadere sulle proprie gambe.
Abbiamo quindi continuato fino alla fine (4° round) ed in accordo con le regole lethwei tradizionali è stato decretato il pareggio con premiazione in presenza dell’ambasciatrice italiana in Myanmar, la gentilissima Alessandra Schiavo.
Per come l’ho vissuta io, per il fatto che addirittura alla 3° ripresa mi stavo pure divertendo, direi che vado molto fiera di essere stata la prima italiana a competere in questa disciplina.
Per l’altro match di lethwei, avendo già rotto il ghiaccio, ero molto più determinata a voler chiudere subito.
Avendo già provato sulla mia pelle quanto un pugno senza guanti possa fare male, mi sono concentrata soprattutto su pugni e gomiti.
Così, dopo un primo minuto di studio, ho fatto contare la mia avversaria nella prima frazione per poi farla ritirare per stop medico al termine della seconda.
Onestamente come ho detto, credo sia davvero brutale come disciplina, non la consiglierei a chi non è veramente sicuro del passo che sta facendo. Già nella muay thai a volte sono botte vere, ma la lethwei non permette errori.
Secondo all’appello è Nico Poma, che combatte con il nome di Saw Nico, pugile con una storia interessante e che pochi conoscono. Innamoratosi del lethwei a 30 anni e quasi per caso, ha disputato 2 incontri in regole tradizionali contro Phoe Taw (pari) e Hmawbi Zar Mani (vinto per KO).
Riportiamo qui un estratto della sua intervista rilasciataci in eclusiva che ci riproponiamo di riportare prossimamente in integrale.
Sono nato in Angola da papà italiano e mamma tedesca e dopo aver studiato in Europa mi sono traferito in Myanmar nel 2014, per ricoprire una posizione manageriale volta allo sviluppo di una società straniera operante nel settore IT.
Qui, cercando uno sport da praticare, mi sono imbattuto in una celeberrima palestra di lethwei della capitale, dove sono stato da subito accolto come parte del team.
Partendo da zero, dopo un anno di allenamenti ero quindi pronto a sfidare il quotato pugile birmano Phoe Taw contro il quale avrei chiuso il match con un pareggio.
Sebbene il lethwei sia recentemente divenuto popolare soprattutto per il fatto del combattere a mani nude con testate e proiezioni -quali il suplex- ammesse, la cosa che mi ha affascinato maggiormente di questo sport è stato il fatto della vittoria assegnata solo in caso di KO, altresì affiancata dal time out tecnico di 2 minuti per ‘risvegliare il pugile’, concesso nei primi 4 round.
Ciò rende a mio parere il verdetto incontestabile e questo sport una forma di lotta pura e libera.
Quindi, accade spesso e volentieri che, come raccontato dalla mia amica e collega Miriam Sabot, il pugile Birmano parta subito all’attacco cercando il KO non perdendosi in tecnicismi e tattiche proprie, per esempio, della muay thai.
Un altra cosa che amo sono ‘il cuore’ ed il rispetto che sono protagonisti in questa disciplina: sul ring si dà il massimo, ma una volta scesi si è amici.
A riprova di quanto ho appena detto basti pensare che, quando vinsi per KO al secondo round il mio ultimo match, il mio avversario ed i suoi famigliari vennero nel mio spogliatoio per congratularsi e fare foto tutti assieme.
Questo sport ha ovviamente però dei lati meno rosei.
Innanzitutto credo che le borse della lethwei tradizionale non siano il più delle volte commisurate ai rischi, anche tenendo conto che combattendo in Myanmar le infrastrutture ospedaliere sono spesso arretrate e quindi ogni infortunio potrebbe trasformarsi in un grosso problema.
Un altro aspetto è che la lethwei e’ tutt’oggi uno sport appannaggio di etnie autoctone (Karen e Mon) più che riconosciuto, come la muay thai ad esempio, come una tradizione nazionale.
Consiglio il lethwei? Personalmente vivere in Myanmar e combattere in queste regole è stata una delle esperienze più belle della mia vita.
Tuttavia incoraggio chiunque voglia avvicinarsi a questa disciplina, dopo una profonda valutazione dei rischi, di maturare una sostanziale esperienza pro in altri sport da contatto e di affidarsi solo a promoter e palestre di comprovata serietà.
Passiamo ora a Samuel Toscano, atleta che ha tenuto alti i colori italiani nel lethwei a punti targata WLC, vincendo da completo outsider la sfida contro il favorito di casa Saw Kaung Htet, tanto da aggiudicarsi il premio del pubblico votante sui social quale Breakthrough Fighter of the year 2020 per la promozione.
Mi sono avvicinato al lethwei perché avevo bisogno di nuovi stimoli: era un periodo buio nella mia carriera sportiva (o almeno lo era nella mia testa) e guardando alcuni match (grazie al web iniziava finalmente a circolare qualcosa) mi sono reso conto che era quello che mi serviva.
Match durissimi, spesso e volentieri un po’ sporchi, ma in cui conta solo una cosa: andare avanti e dare tutto.
Il regolamento tradizionale, con la sola vittoria per KO ed il timeout di 2 minuti, mi aveva stregato! Dovevo provare.
Così, nell’estate del 2019 sono andato ad allenarmi in Myanmar, purtroppo senza riuscire ad assicurarmi un match.
Quando ero già tornato in Italia, come un fulmine a ciel sereno, mi arrivò la chiamata del manager di WLC che mi invitava a combattere per la sua nuova promozione a punti. Accettai subito con la consapevolezza che poteva essere un punto di svolta.
Nel frattempo, però, avendo veramente bisogno di una ventata d’aria fresca e di nuovi stimoli, avevo iniziato ad allenarmi di boxe in Italia anche al fine di migliorare la componente pugilistica nella Muay Thai. Scelta che si sarebbe rivelata essenziale da lì a poco.
Nel mio match sono infatti riuscito a dimostrare di poter dare il meglio di me in questa disciplina, divertendo soprattutto con forte incisività negli scambi di braccia.
Combattere senza guanti ti dà una sensazione di libertà incredibile, riesci a pensare (e a volte eseguire) gesti tecnici che non avresti mai provato con i guanti, seppur a discapito della tecnica alla volte più grezza.
Quindi, secondo la mia personale esperienza, il lethwei rappresenta il massimo per un atleta che vuole mettersi alla prova.
La consiglio a chi ama combattere a viso aperto, prendendosi rischi ma pronto a dare spettacolo con battaglie all’ultimo colpo, oppure ai pugili ‘puliti con le braccia’.
Con pugili puliti faccio riferimento a specialisti quali ad esempio Sasha Moisa, precisi ed efficaci portando pochi colpi decisivi (soprattutto diretti).
L’esperienza in lethwei mi è piaciuta talmente tanto che vorrei trasferirmi e prepararmi al meglio: mi hanno infatti proposto un torneo per il titolo, oggi vacante, nella mia categoria di peso.
Articolo di Emmanuele Corti.