Tyson Fury si conferma campione, annuncia il ritiro e sfida Ngannou

Un normale sabato sera per un uomo eccezionale. Nella mitica arena di Wembley, davanti a novantaquattromila persone accorse per vedere il campionato del mondo dei pesi massimi, il Gipsy King ci ha offerto uno spettacolo magnifico. A cominciare dall’entrata, ispirata a quelle di Apollo nella saga di Rocky, continuando con l’atteggimento istrionico sul ring, degno del miglior Ali, continuando con un KO da antologia, la grande sportività dimostrata, e tutto quello che è successo dopo il match.

Ma proviamo ad andare con un pò d’ordine. Fury difendeva il titolo mondiale WBC e l’ideale cintura LINEAL, ovvero quella del campione legittimo, che ha sconfitto il campione precedente, nel suo caso Wladimir Klitschko. Dopo la trilogia con Wilder negli USA, che ha consacrato il genio del talento gitano, finalmente uno show sul suolo patrio.

Sfidante l’ottimo White, probabilmente l’atleta che negli ultimi 10 anni ha dovuto soffrire di più per arrivare a disputare un match titolato. Ottimo peso massimo dotato di mani pesantissime, volontà di ferro e discreta tecnica, è stato costretto ad affrontare tantissimi avversari pericolosi per conquistarsi la posizione di sfidante ufficiale, visto che nessuno lo avrebbe preso in considerazione per una difesa volontaria.

94mila paganti non sono dovuti solo alla voglia di grande boxe e grande evento post pandemia. Il pubblico inglese, competente e appassionato, è accorso perchè il match lo meritava. Un grandissimo campione, già leggendario, e uno sfidante legittimo e pericoloso. In un panorama che spesso offre incontri tagliati su misura per qualcuno, era d’obbligo esserci, e così è stato. Piccola nota polemica: è inutile che maestri/manager/procuratori italiani scrivano che la boxe non è morta e 94mila persone a Wembley lo dimostrano. La boxe nel mondo, specialmente UK e USA, sta benissimo. In Italia l’avete uccisa voi con i match nella palestra delle scuole medie o nel sottoscala del supermercato, spacciando per titoli i match con i mesterianti con record pesantemente negativo. Se cercate il colpevole della crisi del pugilato professionistico italiano, lo trovate allo specchio ogni mattina.

Il match. Un paio di round di studio, in cui è Dillian White a cercare di cambiare guardia in modo da rimanere sempre opposto a quella di Fury, cercando di mettere il proprio piede davanti all’esterno di quello avversario per poter entrare a due mani. Strategia audace che inizialmente crea qualche pensiero al campione, che poi però trova il ritmo e impone le due caratteristiche che lo hanno reso grande: l’allungo e il modo di muoversi. White è un uomo di 193 cm, eppure sembrava piccolo al cospetto dei 206 cm del campione che fisicamente lo sovrastava. In più, il modo elusivo di indietreggiare, schivare e rientrare, creava enormi problemi allo sfidante, che riusciva ad essere incisivo solo piegando un pò le regole in clinch, costringendo l’arbitro agli straordinari per mantenere il controllo dell’incontro in almeno un paio di occasioni.

Dalla quinta il match è diventato un monologo di Fury, che ostentava sicurezza e controllo del ring. Il capolavoro arriva nel sesto. Doppio jab e montante destro terrificante che passa in mezzo ai guantoni dello sfidante mettendolo ko.

Fury spinge indietro White lasciandolo cadere. Questo gesto merita un minimo approfondimento tecnico. Dopo quel montante sarebbero potute succedere due cose. La prima, Fury si ferma, White lo abbraccia, li crolla addosso ma magari trova il tempo per recuperare. Mai lasciarsi cadere l’avversario addosso. La seconda, Fury fa mezzo passetto indietro e scarica un altro colpo, punizione inutile. Fury ha scelto la terza via, appoggiare al tappeto l’avversario al tappeto senza infierire. Una cosa molto simile a quella che fece Lennox Lewis contro Mike Tyson. Da qualche parte ho letto che il montante di Fury saebbe simile a quello con cui Povetkin mise ko lo stesso White. Dissento apertamente. Povetkin schivò il diretto destro di Wilder e risalì con un perfetto montante sinistro al mento. Fury ha preparato il montante destro in attacco con due jab. Altra nota sul montante di Fury: ad inizio carriera veniva preso in giro per essersene tirato uno in faccia da solo (foto). Ecco, quello è l’embrione del montante che poi sarà di un grande campione: un montante talmente stretto e veloce che se vai a vuoto quasi che ti metti ko da solo. Conosco un coach che lo spiega esattamente così.

Nel post match Fury ha dichiarato che aveva deciso di ritirarsi già dopo la trilogia con Wilder, ma che non poteva rinunciare al mega incontro a Wembey. Sul ring è salito anche Francis Ngannou, campione dei massimi UFC, e i due hanno parlato di un possibile match, con guantini da mma e regole “ibride”, da tenersi in un prossimo futuro. Simpatico siparietto fra i due con Fury che ha fatto una battuta sull’uccello di Ngannou, inizialmente non capita dal camerunense. Che dire, lunga vita a Fury, e speriamo di rivederlo sul ring contro il vincitore fra Joshua e Usyk o contro lo stesso Ngannou.